
1. Le prime opere di arte sacra di Guido Sgaravatti
Molti noti critici si sono impegnati ad analizzare l’opera di Guido Sgaravatti scultore, ma particolarmente interessante è quanto scriveva nell’ormai lontano 1969 il chiarissimo prof. Salvatore Maugeri in occasione di una personale dell’artista veneto a Bassano del Grappa (galleria “Punto Quadrato” 24 maggio 1969):
«Conosco molti scultori, giovani e non più giovani, per i quali non occorre nemmeno chiedersi in quale Accademia e sotto quale maestro hanno condotto a termine i loro studi. L’esame delle loro opere ostenta chiaramente i motivi e i modi che sono propri di Manzù o di Marini, di Minguzzi o di Greco, di Fazzini o di Viani.
Guido Sgaravatti ha avuto come maestro di Accademia Emilio Greco, eppure le sue sculture non rivelano una diretta ascendenza con le soluzioni plastiche del maestro catanese.
Ciò vuol dire che Sgaravatti ha una sua personalità e una sua idea della scultura, intesa come mezzo per rappresentare, con intelligenza e con amore, l’uomo e le sue vicende, l’indagine di una tipologia che scandagli i moti della psiche e li traduca mediante l’elaborazione di strutture plastiche atte a fermare atteggiamenti, a indicare le ragioni segrete di una personalità, il suo autentico modo di essere e di non apparire».
In quella mostra, non veniva ancora presentata nessuna scultura a soggetto religioso, definibile di «arte sacra», nonostante un’aura di sacralità pervadesse pure allora le figure e i ritratti.
Nello stesso anno (1969), tuttavia, Sgaravatti partecipa ad una mostra dell’UCAI a Padova con una serie di disegni su S. Giorgio e, ancora in una mostra organizzata dall’UCAI nel 1971, riceve una medaglia d’oro della Cassa di Risparmio per una pittura su di un tema a lui caro, la Madonna con bambino.
Sempre a Padova, ottiene una serie di primi premi su concorsi di arte sacra, ad iniziare dal 1976 col 16° Concorso Triveneto il cui tema è la Natività; a questo seguono, nel 1977, il primo premio per Paliotto d’altare (6° Rassegna d’arte sacra – S. Rocco) e l’ambita medaglia d’oro del Presidente della Repubblica Pertini per l’opera “Madonna con bambino” alla 7° Rassegna d’arte sacra nel 1979.


Tra le sue opere merita particolare citazione un attento progetto eseguito nel 1980 per le porte del duomo di Belluno; sono decine di studi, disegni, bozzetti e pannelli in scala ed al vero.
È questo intenso lavoro di ricerca che anticipa e permetterà a distanza di otto anni la realizzazione, in tempi brevissimi, del complesso monumentale dedicato a S. Eustochia e che si può ancora ammirare in Piazza Crisafulli a Messina.
Tale monumento si compone di due elementi: una stele accuratamente modellata sulle due facce e la figura a tutto tondo dell’allora Pontefice Giovanni Paolo II.
2. I portali in legno e bronzo

La Porta dei Fiaccolari corona quindi un lungo e intenso lavoro di ricerca nel campo dell’arte sacra.
Di porte lignee con pannelli bronzei non se ne trovano molte nell’arte sacra italiana, anche per i problemi che può creare l’eventuale ristagno dell’acqua piovana nei punti di contatto tra il legno ed il bronzo.
Rispetto alle più comuni porte integralmente bronzee, tuttavia, le porte in legno-bronzo risultano più calde, più «accoglienti», più vicine al «sacro». Al contrario, la porta di solo bronzo, per quanto possa essere ben lavorata, difficilmente evita un certo senso di «cassaforte» che tende a respingere il fedele.
Un portale di chiesa artisticamente elaborato è un manufatto tra i più impegnativi perché implica non solo la soluzione di problemi plastici, architettonici e compositivi, ma anche più sottilmente psicologici. Per il fedele, costituisce il momento di invito ad entrare o non entrare, il punto di limite tra il «dentro» ed il «fuori» della chiesa, con tutte le implicazioni, non solamente fisiche, che questo sottende.
La riuscita ottimale di un portale legno-bronzo richiede, oltre al lavoro dell’artista scultore, anche un’efficiente collaborazione di più équipes di abili artigiani del legno e del bronzo, che l’artista deve ben conoscere, individuare e coordinare.
Il lavoro dell’artista-scultore non può mai essere di assemblaggio o di commistione del suo bronzo alla porta lignea altrui, ma di sacra unione delle parti.
Sono necessarie decine di persone capaci di concentrare contemporaneamente in uno scopo tutto l’impegno di conoscenza ed amore per il loro lavoro.
Per questi motivi, la Porta dei Fiaccolari dev’essere osservata quale opera collettiva, con Guido Sgaravatti scultore come responsabile primo.
3. Saponara e la tradizione del “Quadrittu”

Saponara è un piccolo centro a poche decine di chilometri da Messina, a 180 m. sul livello del mare. Sorta all’inizio del XI secolo, ha avuto un periodo di fulgore nel 1600. A quel periodo risalgono i suoi principali monumenti architettonici, che generano un interesse poi potenziato dalle tradizionali feste del 7 e 8 dicembre.
Si tramanda che, alcuni secoli fa e probabilmente proprio nel 1700, i carbonari (che abitavano nel paese e che lavoravano nei monti vicini, ricchi di acque necessarie alla produzione del carbone) scesero nel paese per protesta contro il clero e contro i signori del posto, che, relegandoli a lavorare sui monti e misconoscendo le loro fatiche, traevano profitto dalla loro assenza per escluderli sempre più da tutte le manifestazioni religiose.
Qui, scassata la porta serrata della chiesa dell’Immacolata, si sarebbero impadroniti del quadro della Madonna esposto sull’altare (il «Quadrittu», un dipinto ligneo di piccole dimensioni risalente al XVI secolo) e se lo sarebbero portato via in processione al lume delle torce, in una fiaccolata di contestazione popolare che voleva affermare la riappropriazione autonoma del valore ecumenico e non di casta chiusa della religione cattolica, al di là di meschini interessi di parte.
La conciliazione del conflitto tra carbonari e gruppi egemoni fu poi ottenuta con la restituzione del quadro alla chiesa, ma restò il diritto popolare ad una festa annuale che, nel tempo, precedesse quella ufficiale dei ceti dirigenti di clero e podestà.
Ne consegue che, nel paese, la festa popolare del «Quadrittu» precede di un giorno la festa ufficiale della «Madonna Immacolata».
La tradizionale processione dei fiaccolari
Il 7 dicembre, dunque, il sindaco e i notabili del paese seguono il «Quadrittu» in una sentita processione popolare.
Il giorno seguente, l’8 dicembre, sono essi stessi a officiare la cerimonia, cinti di sciarpe e con bandiere e con animo compunto, quasi a penitenza della colpa delle cariche pubbliche.
La tradizione del «Quadrittu» è molto sentita nel paese e rappresenta insieme un elemento di coesione delle masse e di sfogo di contrapposte tendenze.


La fiaccolata votiva viene effettuata con originali torce cilindriche, delle specie di bastoni bianchi lunghi circa un metro e mezzo.
Le torce, secondo la tradizione, si preparano impeciando radici essiccate di Saponaria gypsophila, e lunghe fibre di lino. Si forma cosi il nucleo interno, poi rotolato su gesso da presa fino a formare un involucro protettivo. Ce n’è bisogno perché quello che può sembrare un innocente cero, sprigiona, una volta acceso, una fiamma alta e cattiva, che resiste al vento e alla pioggia ma che gocciola pece ardente che cade sulle mani, alcune volte nude, degli officianti. E se la crosta di gesso si lede bisogna esser pronti a spegnere subito tutto…a martellate!
Per la cerimonia, il parroco, vestito di nero, con cappuccio e guantoni, porta avanti il «Quadrittu» per un giro di tutto il paese.
I partecipanti alla fiaccolata procedono per tutto il percorso sempre e solo arretrando e spingendo le fiaccole a ridosso del «Quadrittu» che avanza, sostenuto dall’officiante.
I partecipanti si proteggono dal gocciolamento della pece infocata e ustionante con cappucci di telone avana o nero e vesti grosse. C’è anche chi scarica, a livello di quasi-gioco, i vecchi conflitti, dirigendo intenzionalmente il gocciolamento della pece sugli altri ufficianti amici-nemici, primo fra tutti lo stesso parroco ufficiante.
Ma anche questo, oggi, fa parte del rito!

Tutti i fiaccolari sono coordinati da un capogruppo che dirige il coro delle grida. Si inneggia di continuo alla Madonna al grido unanime di «Viva Maria!» e si riafferma il principio della universalità del sentimento del sacro.
Punteggia ogni fermata del «Quadrittu» una frase di rito più lunga: «Non sulu li putenti (o “li signuri”) ma puro nui dicemu: viva Maria!». Inizialmente uno degli officianti simula simbolicamente, con un grosso chiodo, lo scasso della chiesa. Subito dopo esce il prete officiante, che innalza su una lunga pertica il «Quadrittu» che, da quel momento, diviene il fulcro rituale.
II gruppo dei fiaccolari si sposta retrocedendo e ritmando le grida e percorre tutto il paese seguito dalla banda municipale, dal popolo tutto e da tutta la coreografia tipica delle sagre paesane. Curioso è il fatto che quando la banda musicale cessa di suonare, taccia anche il coro delle grida e tutti arrestino la marcia.
4. La Porta dei Fiaccolari a Saponara (Messina)
È stato merito del sindaco di Saponara, avv. Leone Saiya, l’aver voluto, sollecitato e finanziato la realizzazione di quest’opera, che potesse fissare tale tradizione in un’opera scultorea per le nuove porte della chiesa.
La parte lignea del portale, in noce nazionale ben stagionato (oltre 12 anni) è lavorato a sezioni per impedire spostamenti del legno ed è nato con la collaborazione della CAMS di Arco (Trento).
La pannellatura in bronzo è leggermente allontanata dal supporto ligneo per impedire il temuto ristagno dell’acqua piovana ed è stata accuratamente fusa dalla GI-TI-CUM di Sandrigo (Vicenza).
II portale, collocato nella seicentesca chiesa dell’lmmacolata a Saponara (Messina), misura m. 1 di base per 3,84 di altezza ed ha un peso di circa dieci quintali.
La freschezza della fusione che utilizza l’antico e tradizionale sistema a cera persa, è dovuta anche dal fatto che tutte le cere sono state accuratamente riprese nel modellato per mano dell’artista, che ha seguito tutte le molteplici fasi della lavorazione e non si è limitato all’esecuzione del modello.
I quattro pannelli della Porta dei Fiaccolari
Sul piano iconografico l’opera esce dagli schemi abituali di lavori analoghi.
Restano nella tradizione i due pannelli superiori dell’Annunciata e dell’Angelo. Quelli inferiori invece si caratterizzano per quella aderenza al vissuto quotidiano tipico di epoche in cui il rapporto tra vita e fede era sentito e costante.
A destra in basso abbiamo il pannello col gruppo dei fiaccolari e a sinistra si vede la banda musicale e la partecipazione del paese.

Delle quattro formelle, proprio quella dei fiaccolari è probabilmente la più sentita e la più bella.
Qui l’artista ha saputo, con estrema maestria, fondere sacro e profano in un’armonica composizione di persone ed oggetti (officiante e fiaccolari, «Quadrittu» e fiaccole); la volontà popolare di riappropriarsi, in modo non violento, del sacro per un sacrificio che potesse restare ecumenico e officiato e, come tale, non di contenuto drammatico ma eucaristico.
Lo spirito che pervade l’opera ci ricollega all’atmosfera delle raffigurazioni delle Arti e Mestieri tipiche dei portali romanici.
Artisticamente, va sottolineata la forza che acquista il rilievo, sia per il suo aggetto che per il gioco che viene ottenuto tra il bronzo e il legno che appare anche all’interno delle singole pannellature, tra i profili delle figure.
Essendo l’aggetto di oltre dieci centimetri su figure di circa novanta di altezza, il rilievo appare altissimo, quasi da tutto-tondo, e ciò conferisce all’insieme della Porta dei Fiaccolari una plasticità che la rende particolarmente consona all’installazione in una chiesa del 1600.
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